Le sale
Sala della consultazione
Entrando nella biblioteca, il colpo d’occhio è quello di un ambiente rimasto sostanzialmente incontaminato dal passare del tempo. Infatti le sale conservano l’apparato decorativo voluto dal Giovardi nei soffitti a cassettoni, nelle pareti, nelle porte e negli scaffali, secondo il gusto rococò locale.
Nella sala della consultazione i volumi sono allineati in scaffalature poste lungo le mura e accessibili nella parte superiore attraverso balconate. Alle pareti si trovano una serie di ritratti di grandi letterati e filosofi dell’antichità, anche con l’intendimento di proporre modelli umani che fossero di stimolo agli studiosi.
Vittorio Giovardi da storiografo della cittadina natale volle le effigi dei personaggi locali che si erano maggiormente distinti per meriti culturali e storici. Così commissionò una trentina di quadri raffiguranti illustri uomini di lettere e di chiesa, di giureconsulti e pubblici benefattori.
Il ritratto più antico dell’istituzione della biblioteca è quello secentesco del ricordato cardinale Cesare Baronio, che nativo di Sora, era considerato a pieno titolo cittadino di Veroli, per avervi studiato in gioventù.
Fra i ritratti commissionati da Giovardi è da notare quello di Aonio Paleario, umanista e riformatore verolano. Paleario, anche se aderente alle tesi protestanti, venne rivalutato da Giovardi celebrandolo nella Historia Verularum come un nuovo Cicerone per la versatilità nella prosa latina.
E’ presente anche il ritratto di Vittorio Giovardi eseguito nel corso degli ultimi suoi mesi di vita, tra l’agosto 1785 e l’aprile 1786, come indica il tenore dell’iscrizione che, in greco e latino, lo definisce «Amante della terra natia, dell’età di ottantasette anni». La raffigurazione è quella tipica del prelato dell’epoca, ma il personaggio mostra nella mano destra la Historia Verulanum come per dire che questa è la sua eredità più preziosa, tanto sotto il profilo culturale, quanto sotto quello morale.
Saletta con la raccolta antiquaria
Altra caratteristica tipica nella Roma settecentesca che si evidenzia nella biblioteca è la conservazione di beni antiquariali, per lo più piccoli pezzi archeologici, non tanto di valenza artistica, quanto piuttosto di precisa testimonianza storica materiale.
Un ambiente della biblioteca è perciò destinato ad ospitare una piccola raccolta antiquaria di carattere locale caratterizzata da ex voto fittili databili fra III e II secolo a. C., venuti in luce nel Seicento, durante gli scavi compiuti per gettare le fondamenta del primo corpo di fabbrica dell’edificio seminarile.
La raccolta di oggetti di scavo si è poi ampliata fino ai primi decenni del Novecento, quando pervennero alla biblioteca i manufatti di corredo alle sepolture cristiane tardo-antiche, risalenti ai secoli V-VII, trovate insieme alla lastra del calendario noto come Fasti Verulani, nel centro storico della cittadina.
Nello stesso periodo si aggiunsero anche ceramiche frammentarie dei secoli XIII-XVI rinvenute in un “butto” nel 1923, a testimonianza di un artigianato locale.
Sala degli archivi / L’archivio segreto
Nella seconda grande sala sono conservati soprattutto i manoscritti, all’interno di scaffalature chiuse.
Nei documenti d’istituzione della biblioteca, questa sala è detta “archivio segreto”: se l’aggettivo “segreto” allude certamente all’accesso riservato ai soli bibliotecari, il termine “archivio” si deve porre in relazione alla considerazione unitaria che la cultura dell’epoca nutriva nei confronti dei manoscritti di natura libraria e di quelli di natura archivistica.
In effetti, gli uni e gli altri sono conservati insieme in questa sala della Giovardiana.